La Signoria degli Sforza
Nel 1447, alla morte di Filippo Maria Visconti che, non avendo figli maschi, lascia il Ducato di Milano in eredità a Filippo V d'Aragona, un gruppo di aristocratici e giuristi milanesi proclama l'Aurea Repubblica Ambrosiana, chiamando a difesa della città, assediata dai Veneziani, il capitano di ventura Francesco Sforza, che era già stato al comando dell'esercito milanese sotto l'ultimo duca. Sconfitta la Repubblica di Venezia, lo Sforza assedia a sua volta la città, finché nel 1450, stanchi di lotte interne, i Milanesi lo accolgono come liberatore, ottenendo però l'impegno al rispetto degli Statuti cittadini e della potente Universitas Mercatorum Mediolanensium. Ha così inizio la Signoria sforzesca, legittimata, in mancanza dell'investitura imperiale, dal matrimonio di Francesco I con Bianca Maria, unica figlia dell'ultimo Visconti: nel corso di una solenne cerimonia, il condottiero e la moglie sono nominati duchi per acclamazione popolare. L'abile politica diplomatica del nuovo Signore, alleato in particolare dei Medici di Firenze, favorisce la firma della Pace di Lodi del 1455, che garantisce un lungo periodo di equilibrio tra le maggiori potenze d'Italia, destinato a durare fino al 1494. L'efficiente riorganizzazione dello Stato di Milano, che comprende vasti territori eterogenei dal punto di vista giuridico, fiscale e amministrativo, quali le città di Pavia, Vigevano, Cremona, Lodi, Como, Novara, Alessandria, Tortona, Valenza, Bobbio, Piacenza, Parma, Genova e Savona, attraverso l'istituzione di numerosi "offici" centrali e periferici, promuove lo sviluppo delle attività artigianali e commerciali e di quelle assistenziali, per esempio con la fondazione del primo ospedale pubblico di Milano, la Ca' Granda. Ma questo periodo di prosperità si interrompe improvvisamente alla morte di Francesco I nel 1466.
Il Ducato passa infatti al figlio maggiore Galeazzo Maria, giovane dal carattere arrogante che entra in contrasto con la madre, della quale non possiede l'abilità e l'intuito politico. Nei dieci anni del suo governo si inimica le più potenti famiglie milanesi e il popolo e nel 1476 viene assassinato da un gruppo di congiurati. La vedova Bona di Savoia assume in un primo tempo la reggenza per il figlio Gian Galeazzo Maria, di soli sei anni, ma ben presto il potere passa nelle mani del fratello di Galeazzo Maria, Ludovico Maria detto il Moro, che di fatto esilia il nipote a Pavia.
Molto ambizioso, amante di arti, lettere e scienze, grande mecenate, il Moro chiama alla corte milanese, divenuta una delle più raffinate e sfarzose dell'epoca, grandi pittori, architetti e letterati come Foppa e Bergognone, Solari e Amadeo, Bramante e Leonardo, stimato consulente del duca non soltanto in campo artistico: a Leonardo si devono anche progetti di macchine belliche e il perfezionamento delle chiuse e delle conche dei Navigli, che offre all'economia lombarda un eccezionale sistema di idrovie collegato al Po. Insieme al commercio prospera in questi anni l'agricoltura, in particolare la risicoltura, mentre viene introdotta nel Milanese la coltivazione del gelso, importato dal Moro per consentire l'allevamento dei bachi e la produzione della seta. Nel campo delle relazioni diplomatiche, il Moro stringe importanti accordi matrimoniali, sposando Beatrice d'Este, sorella del duca di Ferrara, e organizzando le nozze tra il nipote Gian Galeazzo Maria e la figlia del re di Napoli, Isabella d'Aragona. Tuttavia la rivalità tra le due duchesse, l'una di diritto, l'altra di fatto, finisce col provocare gravi danni al Ducato: Isabella spinge il padre a contrastare il potere del Moro, che, da parte sua, non si oppone alla discesa in Italia del re di Francia Carlo VIII diretto alla conquista del Regno di Napoli nel 1494. La spedizione di Carlo VIII fallisce, ma viene ripresa nel 1498 dal suo successore Luigi XII d'Orléans, che vanta diritti sullo Stato di Milano perché discendente di Valentina Visconti, figlia di Gian Galeazzo, andata sposa a Luigi d'Orléans, fratello del re di Francia Carlo VI, nel 1387. Il Moro fugge con i figli Ercole Massimiliano e Francesco II presso la corte dell'imperatore Massimiliano I d'Asburgo, imparentato con gli Sforza per aver sposato Bianca Maria, sorella di Gian Galeazzo Maria; dopo alterne vicende, che lo vedono riconquistare Milano nel 1500, il Moro muore prigioniero in Francia nel 1508.
Ma la cosiddetta Lega Santa, capeggiata dal papa Giulio II e costituita da numerosi Stati italiani, Spagna, Inghilterra, Impero tedesco e Svizzeri in funzione antifrancese, nel 1512 riconquista il Ducato di Milano per Ercole Massimiliano, il figlio maggiore del Moro, che tre anni dopo è costretto a cederlo al nuovo re di Francia Francesco I. Infine nel 1525 Carlo V di Spagna, sconfitti i Francesi a Pavia, restituisce la Signoria al secondogenito del Moro, Francesco II. Il nono e ultimo duca di Milano avvia la riorganizzazione dello Stato, indebolito e impoverito da venticinque anni di lotte, promuovendone la ripresa economica e culturale, ma nel 1535 muore in giovane età e senza eredi. I territori del Ducato vengono annessi al dominio di Carlo V, nel 1519 divenuto anche Imperatore; finisce così una delle più splendide Signorie d'Italia e inizia per Milano il triste periodo della dominazione spagnola.
La Residenza Signorile
A Francesco Sforza, morto nel 1466, succede il primogenito Galeazzo Maria, quinto Duca di Milano.
Raffinato, colto, amante del lusso, Galeazzo Maria frequenta le corti francese, mantovana e ferrarese, dopo aver trascorso la giovinezza nell'elegante castello pavese, sviluppando una sorta di passione per gli avi materni e in particolare per Gian Galeazzo Visconti, del quale conosce l'effigie dagli affreschi che ornano le sale del Castello e di cui imiterà l'abbigliamento e la preferenza per alcuni cani da caccia. Promesso sposo di Bona di Savoia, cognata del Re di Francia Luigi XI, Galeazzo Maria, volendo trasferirsi con la corte in Castello, intraprende una complessa campagna di lavori, destinati a trasformare il fortilizio in dimora signorile. Gli architetti all'opera sono ancora Bartolomeo Gadio e Benedetto Ferrini di Firenze, impiegato dal 1452 presso gli Sforza nella realizzazione di strutture militari e civili.
Le opere iniziate da Francesco Sforza subiscono una brusca accelerazione: si lavora alla Rocchetta e alla Corte Ducale, mentre contemporaneamente si attrezza un "Cassino", destinato a ospitare il Duca e la sua consorte. Stupisce oggi la semplicità della vita domestica condotta dagli Sforza, che conosciamo dalle notizie tramandate da interessanti documenti, quali le lettere dell'epoca. Raffinatissimi nella scelta di abiti, cavalli e gioielli, i Duchi sono abituati a vivere in stanze confinanti con il pollaio, in sale che di notte ospitano materassi e di giorno assemblee, in ambienti dai soffitti altissimi le cui ampie finestre sono chiuse non da vetri ma da semplici "impannate" (stoffe).
In Castello gli architetti sono continuamente al lavoro: costruiscono, riedificano, modificano gli spazi e la loro destinazione; sappiamo, per esempio, che, in occasione dell'arrivo della sposa francese, Bartolomeo Gadio deve allestire una stalla in grado di ospitare novanta cavalli.
La Sala della Balla
In anni frenetici di lavori, ordinati da un committente ricco di idee ma assai mutevole, il Castello diviene una elegante dimora: la Rocchetta, la parte meglio difesa dell'intera fortezza, è ornata da un elegante portico rinascimentale, eseguito molto probabilmente da Benedetto Ferrini. All'interno sono ampie sale, come quella della Balla, al primo piano, destinata a uno sport assai simile al nostro tennis, molto apprezzato e spesso praticato da Galeazzo Maria.
Gli Appartamenti Ducali
Nella Corte Ducale lo Sforza fa edificare, sempre da Benedetto Ferrini, la "sala aperta", un portico oggi detto "dell'elefante" per la figura ad affresco che lo decora, in origine accompagnata da altri animali ora perduti, come il leone di cui si scorgono soltanto le zampe posteriori. Gli Appartamenti Ducali, al piano terra e al primo piano della Corte Ducale, sono dotati di eleganti volte a padiglione, disegnate dal Ferrini e affrescate da gruppi di pittori con imprese araldiche, soggetto molto gradito al committente, e motivi ornamentali. Di questo periodo sono la "Sala dei Ducali", la "Sala delle Colombine" e la "Sala degli Scarlioni". Al piano superiore si accede tramite una scala dai bassi gradini, che permette al Duca di raggiungere a cavallo gli appartamenti.
La Cappella
Particolare attenzione è riservata da Galeazzo Maria e dai suoi architetti alla Cappella Ducale, costruita nel 1473 e affrescata nel corso dello stesso anno da sei pittori, tra i quali Bonifacio Bembo, Giacomino Vismara e Stefano de Fedeli, citati nei documenti ancora oggi conservati. In questo luogo raffinato, lucente di ori, il Duca, inviando emissari in tutte le corti d'Europa, riesce a raccogliere, con grande passione, una straordinaria cappella musicale, formata da ventidue cantori.
Gli ultimi lavori al Castello
La mattina del 26 dicembre 1476 Galeazzo Maria Sforza viene pugnalato a morte sulla soglia della chiesa di Santo Stefano. La Duchessa Bona si trasferisce allora nel luogo più sicuro del Castello, la Rocchetta, e la munisce di un'alta torre, oggi detta Torre di Bona, che, collocata all'incrocio tra le ali nord-est e sud-est, consente il controllo di tutto l'edificio. Ben presto tuttavia Ludovico il Moro, fratello di Galeazzo Maria, si impossessa del potere e del Castello, per il quale commissiona nuovi interventi: in Corte Ducale, oltre a far sostituire in molti ambienti le iniziali di Galeazzo Maria con le proprie, ordina una nuova decorazione per la sala terrena della Torre della Falconiera. Affidata a Leonardo da Vinci, la Sala delle Asse è affrescata con il celebre pergolato ancora oggi visibile, anche se molto restaurato; alla mano di Leonardo è attribuito anche un frammento di affresco monocromo su una delle pareti della sala, con radici che si incuneano nelle pietre. Forse progettata da Bramante è invece la "Ponticella", un'ariosa costruzione sopra il fossato, contenente un portico e tre salette, una delle quali recava una decorazione di Leonardo oggi perduta. Nella Rocchetta il Moro fa concludere il portico e nel 1490 fa affrescare dal Bramantino la Sala del Tesoro. Seppure in parte rovinato, il celebre affresco con Argo costituisce una delle opere più rappresentative del Castello.