Il Castello Visconteo
Nel 1354, alla morte dell'Arcivescovo Giovanni Visconti, divengono Signori di Milano i suoi tre nipoti Matteo II, Galeazzo II e Bernabò. Il primogenito muore dopo un anno e i due fratelli si dividono la città: tre porte cittadine a ciascuno, a Bernabò la parte orientale e i territori a est di Milano, a Galeazzo II la parte occidentale e i territori a ovest. Sede di Bernabò è la Ca' di Can, vicino a Porta Romana presso la chiesa di San Giovanni in Conca, mentre Galeazzo II continua a vivere all'Arengo, il palazzo ducale nei pressi della Cattedrale, creando nel contempo una serie di fortificazioni. Sorge così, probabilmente nel decennio fra 1360 e 1370, il Castello di Porta Giovia, collocato a cavallo delle mura medievali dove si apriva la pusterla Giovia o Zobia, da cui deriva il nome.
il basamento sul fossato Il Castello visconteo è costituito da un ampio recinto fortificato, di forma quadrata, cui Gian Galeazzo, il figlio del fondatore, aggiunge nel 1392, sul lato verso la campagna, una cittadella per l'alloggiamento delle truppe stipendiate. Le due parti della struttura sono separate dal fossato della cinta medievale. Questa originaria costruzione, molto simile al Castello di Pavia, anch'esso voluto da Galeazzo II e iniziato nel 1360, lascia tracce ancora oggi riconoscibili nella parte del Castello rivolta verso il parco: il basamento in pietra grigia (serizzo) è quello voluto da Galeazzo Visconti e dai suoi successori, pagato, come ci rivelano le notizie d'archivio, anche con il contributo imposto alle città sottomesse dai Signori di Milano; a Bergamo e al suo contado, per esempio, spetta nel 1392 il pagamento di 346 braccia della costruzione.
Adibita soltanto a fortezza e prigione, un particolare del basamentola rocca ospita per diciannove giorni Bernabò Visconti quando, arrestato dal nipote e genero Gian Galeazzo, il vecchio e crudele Signore si avvia alla prigionia e alla morte, che lo coglie nel Castello di Trezzo nel 1385.
A Filippo Maria, l'ultimo dei Visconti, si deve la prosecuzione dei lavori, con il collegamento tra le due parti del fortilizio e la sistemazione a "zardinum" o "barcho" del grande terreno adiacente. È in questo periodo che il Castello, il più grande tra quelli edificati dai Visconti, d'impianto quadrato con lati di 180 metri e quattro torri angolari anch'esse quadrate, si trasforma in austera residenza: l'ultimo Signore della dinastia vi trascorre un'esistenza solitaria e infelice, confinandosi con la corte nell'immensa dimora in cui muore senza eredi. Lascia infatti una sola figlia illegittima, Bianca Maria, avuta da Agnese Del Majno, legittimata dall'Imperatore Sigismondo nel 1426 e andata in sposa nel 1441 al condottiero di origine romagnola Francesco Sforza, chiamato a difendere il Ducato dai Veneziani.
La Signoria dei Visconti
Dopo il riconoscimento ufficiale, con la Pace di Costanza del 1183, dell'autonomia del Comune dall'Impero, gli scontri interni tra le fazioni sostenitrici delle casate emergenti in lotta per il potere portano alla crisi delle istituzioni comunali. A Milano si contrappongono due famiglie di estrazione feudale, i Della Torre, con possedimenti in Valsassina e nel territorio di Lecco, e i Visconti, proprietari fondiari nella zona del Verbano; dopo ripetuti scontri, Ottone Visconti, già preferito da papa Urbano IV a Raimondo della Torre per la nomina ad arcivescovo di Milano nel 1262, sconfigge Napo Della Torre a Desio nel 1277, dando, di fatto, inizio alla Signoria viscontea. Nonostante l'opposizione interna, capeggiata dai Torriani, Ottone, esperto diplomatico, fa nominare Capitano del Popolo il pronipote Matteo, scelto come successore.
Lungimirante e abile politico, Matteo riesce a dare legittimazione giuridica alla Signoria dei Visconti: in cambio di un prestito di 50.000 fiorini d'oro, ottiene dall'imperatore Enrico VII la nomina a Vicario Imperiale a vita con giurisdizione civile e criminale sulla Lombardia e da tutte le terre del dominio il giuramento di obbedienza, mentre dal Consiglio del Comune si fa proclamare Dominus Generalis. Per nobilitare la famiglia, di antica origine ma priva di titoli, se non quello di visconte da cui deriva il nome della casata, stringe legami di parentela con i marchesi di Ferrara attraverso le nozze del figlio Galeazzo con Beatrice d'Este e combina matrimoni politici anche per le figlie. Durante la Signoria di Matteo il dominio milanese estende notevolmente i suoi confini, con la conquista di Piacenza, Bergamo, Como, Cremona, Alessandria, Tortona, Pavia, Vercelli e Novara e la conseguente apertura di nuovi mercati per l'artigianato e il commercio di Milano.
Galeazzo I, già associato al padre come Capitano del Popolo e suo successore, pur non dando prova della stessa abilità politica, riesce a conservare i nuovi territori lasciandoli al figlio Azzone che, secondo gli storici del tempo, raddoppia la potenza di Milano conquistando con truppe mercenarie Lodi e Brescia, pur essendo un amante della pace, dell'arte e della cultura. A lui si deve la codificazione degli Statuti del Comune di Milano, volta a garantire un valido fondamento giuridico alla Signoria insieme al titolo di Vicario Imperiale concesso ad Azzone nel 1329; per favorire le attività economiche realizza ponti, mercati, fognature, strade lastricate, rinforza le mura e le porte cittadine facendole anche decorare con sculture commissionate al toscano Giovanni di Balduccio, mentre a Giotto sono affidati gli affreschi che decorano il Palazzo Ducale. Morto Azzone, in giovane età e senza eredi, la Signoria torna agli zii Luchino e Giovanni.
Luchino, abile condottiero, estende ulteriormente il territorio milanese conquistando Asti, Parma e Crema, ma promuove anche le attività economiche dando impulso all'agricoltura, in particolare alle marcite e alla viticoltura, all'allevamento, soprattutto quello dei cavalli di razza, e all'artigianato, con le produzioni di tessuti e armi. Alla sua morte, il fratello Giovanni, già arcivescovo di Milano, riunisce nelle proprie mani poteri spirituali e temporali, dedicandosi con straordinario intuito politico all'ampliamento dello Stato: compra la città di Bologna, importante passaggio verso l'Italia centrale, si fa nominare Signore di Genova, fondamentale sbocco commerciale sul mare, conquista l'alta Valle del Ticino tra Locarno e Bellinzona, essenziale collegamento con l'Europa settentrionale; stabilisce inoltre importanti alleanze con i più potenti Stati italiani mediante abili accordi matrimoniali: dei tre nipoti, che si dividono lo Stato alla sua morte, Matteo II si imparenta con i Gonzaga, marchesi di Mantova, Bernabò sposa Regina Della Scala, figlia del Signore di Verona, Galeazzo II Bianca dei conti di Savoia. Dopo la morte di Matteo II, i fratelli si dividono la città e il territorio, che si riduce progressivamente per gli attacchi di una lega antiviscontea capeggiata dal papa: Genova torna indipendente, Bologna è ceduta al Papato, mentre viene conquistata Pavia, scelta come propria sede da Galeazzo II che vi fa costruire il castello, inespugnabile fortezza ma anche raffinata residenza.
statua di Bernabò Visconti Gian Galeazzo, figlio di Galeazzo II, dopo la morte del padre e la riunificazione del dominio milanese nelle mani di Bernabò, collerico tiranno, con accorta politica conquista la fiducia di sudditi e Stati vicini fino a impadronirsi del potere nel 1385, quando si fa proclamare Signore dal Consiglio Cittadino dopo aver imprigionato lo zio e i suoi figli. Abile politico e amministratore e generoso mecenate, favorisce i commerci potenziando le vie di terra e d'acqua, dà inizio a grandi imprese architettoniche come la costruzione del Duomo di Milano e della Certosa di Pavia, estende il territorio dello Stato fino a Feltre e Belluno impadronendosi di Verona e Padova, recupera Genova e Bologna, conquista Pisa, Lucca e Siena, strappa al Papato Perugia e Assisi; nel 1395 ottiene dall'imperatore il definitivo riconoscimento giuridico del dominio visconteo con il titolo di Dux Mediolani per sé e per i propri discendenti. Ma nel 1402 la morte del primo duca di Milano, che lascia due figli ancora bambini, dà inizio a un periodo drammatico di ribellioni dei territori appena conquistati e di lotte interne per il potere, concluso con l'uccisione di Giovanni Maria, appena ventitreenne, nel 1412.
Gli succede il fratello Filippo Maria, dal carattere diffidente e incostante, ma abilissimo politico, che riconquista gran parte dei territori perduti dopo la morte del padre: dapprima le città di Pavia, Tortona, Novara e Como, poi, con il capitano di ventura Francesco Bussone detto il Carmagnola, Padova, Vicenza, Verona, Bergamo, Brescia e Genova. L'atteggiamento del duca, sempre altalenante, provoca però l'allontanamento del Carmagnola, che passa dalla parte di Venezia contro Milano, così come quello di Francesco Sforza, nuovo capitano generale delle truppe viscontee, che, sposata Bianca Maria, l'unica figlia, illegittima, di Filippo Maria, passa al servizio del papa sconfiggendo i Milanesi a Soncino. Quando il duca muore, nel 1447, le truppe veneziane sono accampate alle porte di Milano.